Carne aromatizzata da consumarsi cruda a fette molto sottili, o a fette leggermente più grosse, cotta ai ferri dopo averla passata in olio d'oliva con alcune gocce di aceto e servita su un piatto caldo. In questo caso andrebbe accompagnata da fagioli Borlotti o Saluggia o Broccoli di Torbole, lessati, conditi con olio d'oliva.
Metodo di lavorazione
Viene usata la fesa di manzo, ottenuta da animali allevati in modo naturale. Tale tipo di carne, ben frollato, deve essere completamente privato delle pelli e del grasso, tagliato in tre parti. I pezzi così ottenuti vanno passati in un composto, costituito da sale grosso, alloro, pepe nero, bacche di ginepro, aglio a spicchi schiacciati e rosmarino. La carne così trattata va riposta in appositi contenitori (che anticamente erano in legno e poi in terracotta) in acciaio inox, in modo tale che non si creino dei vuoti d'aria tra i vari pezzi; va coperta e sopra il coperchio va posto un peso al fine di favorire la fuoriuscita dell'acqua e l'assimilazione degli aromi. Va quindi lasciata a maturare per circa 12 giorni anticamente tale periodo era di 25 giorni dopodiché è pronta per il consumo. Successivamente la Carne salada viene confezionata in sacchi per sottovuoto e riposta nel locale di conservazione per la successiva commercializzazione. È un prodotto che va consumato, preferibilmente, entro trenta giorni dal confezionamento.
Insaccato fresco di carni miste suine e bovine alle quali vengono aggiunte le rape. Da consumarsi preferibilmente cotto, affettato, da solo o accompagnato ai Crauti.
La produzione avviene nel periodo che va dall'autunno, con le prime brinate, fino a tutto marzo.
Metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Per la produzione delle Ciuighe vengono impiegate carni di maiale e di manzo di seconda scelta, come ad esempio lo spolpo di testa, la pancetta grassa e altre parti magre e nervose altrimenti non utilizzate per la produzione di altri insaccati, o per la vendita diretta. Si inizia con la macinatura delle rape, utilizzando un tritacarne meccanico avente i fori di uscita di medio calibro; il prodotto così ottenuto viene messo per due giorni in una cassa forata e coperto con una tavola di legno, sopra la quale viene posizionato un peso per favorire la fuoriuscita dell'acqua. Si stende poi la carne, si aromatizza e vi si spargono sopra le rape ben asciugate; si passa il tutto nel tritacarne una sola volta, usando una piastra di uscita di 2,5 mm. e infine si effettuano 3-4 mescolature manuali. A questo punto si passa all'insaccaggio: viene utilizzato uno stantuffo meccanico col quale la pasta viene compressa nel budello di manzo del diametro di 40 mm. e lunghezza di 3-4 metri. Per evitare la presenza al suo interno di dannose bolle d'aria, la Ciuiga viene punta usando un apposito attrezzo munito di aghi e viene massaggiata per meglio sistemare la pasta. Infine viene legata, usando dello spago alimentare, e divisa in porzioni di circa 10 cm. che rimangono comunque attaccate tra di loro.
Nei secoli scorsi, la zona di San Lorenzo in Banale era di estrema povertà; in questo contesto, le famiglie che avevano la possibilità di allevare un maiale riuscivano a pagare i debiti generalmente contratti con la cooperativa di generi alimentari.
La tradizione voleva comunque che la testa, le frattaglie, il sangue e le interiora rimanessero al proprietario; ecco allora che, aggiungendo a tali prodotti le rape, riuscivano a confezionare le Ciuighe, unico insaccato che si potevano permettere, che veniva poi consumato con parsimonia in abbinamento ai Crauti, alle patate o alla polenta.
In passato in Val di Non ogni famiglia usava acquistare un maialino alla Fiera dei Santi che era allevato per circa dodici mesi a patate, crusca, scarti di ortaggi e fieno. Con la carne di questi animali si produceva il più tipico dei salumi della Val di Non, una zona storicamente a forte vocazione norcina. Si produceva utilizzando esclusivamente carne dei suino, compresa la gola e, più raramente, il cuore e i polmoni. Oggi la mortandela è ancora prodotta artigianalmente da alcuni produttori, ma è diventato sempre più difficile recuperare la materia prima migliore, ovvero suini pesanti allevati con alimenti naturali.
L’asparago di Zambana è un asparago bianco che trae le sue peculiari caratteristiche (delicatezza, tenerezza e assenza di fibra) dalle particolari condizioni del terreno e del clima, e dalle tecniche di coltivazione. I produttori trentini devono rispettare alcune regole per avvalersi del marchio di asparago trentino depositato dallAssociazione dei produttori: terreno con un 70% minimo di sabbia e pH tendente alla neutralità. Queste sono le caratteristiche delle zone dove si è sviluppata la coltivazione degli asparagi sia di quelli provenienti da Zambana che dalle diverse valli del Trentino (bassa Val dAdige e Vallagarina, Alto Garda, Valsugana ecc.).
Le prime notizie circa la coltivazione dell’asparago in Trentino riscontrate in bibliografia risalgono ai primi anni dell’Ottocento (1811-1812) allorché, a seguito dell’incorporamento nel 1810 del Trentino nel Regno Italico voluto da Napoleone, furono pubblicate sulla rivista “Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia” memorie di autori vari sullo stato dell’agricoltura locale. Lo sviluppo maggiore si ebbe intorno agli anni ‘60 anche a seguito della nascita di una rete commerciale privata ma organizzata in grado di indirizzare buona parte della produzione verso l’esportazione. Dopo una crisi produttiva negli anni ’70 e ’80 le superfici investite ad asparago sono ora in leggera e continua crescita, con una produzione provinciale che potrebbe arrivare a circa 600 quintali annui. L’associazione As.TA. - Asparagicoltori Trentini Associati - raccoglie e commercializza direttamente circa 150 quintali di prodotto l’anno.
La coltivazione del granoturco nostrano è regolato da un apposito disciplinare di produzione attraverso il quale vengono stabilite le tecniche di coltivazione e di trasformazione per ottenere un prodotto tipico e di qualità senza l’utilizzo di prodotti antiparassitari e diserbanti.
Dopo l’essicazione si passa alla sgranatura della pannocchia terminale, operazione che in alcune zone avviene ancora manualmente. Dopo la sgranatura la granella viene macinata ottenendo una misura media di farina che può essere consumata immediatamente. Il periodo di conservazione della farina così ottenuta è di sei mesi.
Una farina di buona qualità non deve contenere più del 14% di umidità, non si deve agglomerare quando la si stringe tra le mani, non deve avere odore o sapore disgustosi né presentare macchie brune o verdastre.
La polenta è considerato un piatto molto genuino, soprattutto se accompagnato con carne o pesce o, come si usa in Trentino, con del buon formaggio di malga che rende la pietanza allo stesso tempo energetica, ricostituente e tonificante.
Non tutte le polente sono uguali, perché non tutte le farine sono uguali. Ma non è soltanto la varietà di mais a fare la differenza, ma l'acqua che si usa, la macinatura e perfino la mano per ammannirla ne determinano il risultato finale. E, naturalmente, il luogo e il clima, che hanno esaltato le già notevoli qualità organolettiche.
La farina di mais nostrano, di Storo, viene prodotta nel pieno rispetto dei cicli della natura , senza alcuna forzatura quantitativa. Questo perché il Mais è della varietà " Marani ", proveniente da campi coltivati nel massimo rispetto della natura: agricoltura biologica, macina vecchio stile e farina più sottile. Si tratta di un granoturco I chicchi delle pannocchie, dal colore particolarmente rosso, vengono macinati al mulino di Storo e la farina che si ottiene, facilmente digeribile, è pronta a diventare fragrante polenta, elemento insostituibile per ogni piatto tipico trentino.
La coltivazione delle patate ha sempre avuto un ruolo fondamentale nell’economia della Valle di Gresta. Essa rappresenta tuttora la specie più coltivata, sia per la superficie che per quantità. Con la definizione di "Le Grestane" vengono identificate patate di montagna ottenute in Val di Gresta con tecniche di coltivazione dettate da un particolare disciplinare di produzione integrata. Con il marchio di riconoscimento "Le Grestane" si garantisce una qualità controllata ottenuta nel rispetto dell’ambiente, prevista dal marchio Provinciale "Dal Trentino Naturalmente”.
Un tempo nella piazza di Torbole si teneva il mercato dei broccoli, frequentato da commercianti che venivano anche dal veronese e dal bresciano. I contadini ve li portavano in ampi cesti o nei sacchi e, contrattandone il prezzo, venivano poi caricati sui carri, in bella geometria, dopo che erano stati ripuliti dall’eccesso di fogliame. Altri carichi, prima della costruzione della Gardesana, prendevano la via del lago sui barconi per il trasporto di merci.
Finivano tutti sulle mense dei buongustai, che li condivano con l’olio del Garda e li accoppiavano, di solito, con un piatto di fritto di lago.
In tavola
Le vecchie ricette vogliono il broccolo abbinato ad un buon fritto di pesce di lago ma non solo! Anche cibi particolarmente saporiti e tipicamente invernali, come la “carne salada”, la selvaggina, il maiale, la cui uccisione coincideva con la maturazione del broccolo ben si prestano ad essere accompagnati da questo ortaggio. Per i palati delicati l’abbinamento migliore è con il pesce lesso. Questi accoppiamenti sono resi piacevoli dal sapore amarognolo della verdura, ottenuto dalla sua cottura insieme con parte delle foglie che, essendo più dure a cuocere del “frutto”, vanno messe a bollire con qualche minuto di anticipo.
La versatilità di questo ortaggio permette innumerevoli interpretazioni in cucina oltre a quelle tradizionali: crudi in insalata o pinzimonio, gratinati al forno, cotti al vapore o fritti in pastella, saltati in padella con olio, aglio e acciughe (meglio ancora le aolete salae) o pangrattato. In salsa, in crema o vellutata, alla polacca con le uova a mimosa e conditi con burro, in sformato o soufflé.
Il frutto, all'atto dell'immissione al consumo, si deve presentare di colore marrone, avere la raggiatura stellare grande, le costolature evidenti, la cicatrice ilare tendenzialmente rettangolare, il distacco dell'episperma facile.
Sono da considerare idonei, ai fini della produzione del Marone trentino, i castagneti che si trovano nell'area di coltivazione specificata a fianco e situati in terreni ben esposti, con sesti d'impianto e forme di allevamento tradizionalmente usati e comunque atti a non modificare le caratteristiche tradizionali. Le piante di castagno crescono liberamente, naturalmente e irregolarmente in relazione allo spazio che hanno a disposizione. La raccolta dei Maroni inizia verso i primi di ottobre, per essere ultimata, nelle zone più alte, verso i primi di novembre. Avviene manualmente, aspettando che i Maroni cadano a terra a mano a mano che essi maturano. Una volta raccolto, il prodotto deve essere immediatamente selezionato per separare i Maroni guasti e le impurità e successivamente calibrato, prima di essere destinato alla vendita. È consentita la conservazione nei seguenti modi: in ricciaia, in bagno d'acqua, in atmosfera controllata e/o modificata, mediante refrigerazione, mediante essiccazione.
Prima che lo zucchero fosse scoperto, il miele rappresentava l’unico vero dolcificante: la sostituzione del miele con lo zucchero è infatti storia recente che risale al XVIII secolo, quando lo sviluppo delle piantagioni di canna da zucchero in America – anche grazie all’impiego degli schiavi – rendeva tale prodotto più conveniente.
Attualmente in Trentino l’apicoltura è diffusa su tutto il territorio e praticata secondo tecniche moderne, sulla scorta di numerosi e approfonditi studi sull’ape.
Nei periodi di più intensa attività le api operaie vivono in media 30-45 giorni e nell’arco di questa breve vita dedicano tutto il loro tempo al lavoro. Le api bottinatrici si occupano in particolare della raccolta del nettare. Quando le bottinatrici iniziano ad allontanarsi dall’alveare, la “consegna” che hanno impone loro di provvedere al reperimento di acqua, nettare, polline, propoli. Le bottinatrici di nettare voleranno di fiore in fiore, rimanendo costantemente fedeli alla medesima specie botanica e selezionando le essenze migliori, quelle più fluide, abbondanti, zuccherine. Fatto il carico, torneranno all’alveare, si sgraveranno del peso e riprenderanno la loro missione.
I mieli di alta montagna
Miele di rododendro, miele di millefiori e melata di abete: sono questi i tre mieli principali dell’arco alpino. Produzioni difficili: una buona stagione (ogni 4 o 5 anni) produce poche centinaia di quintali di miele. Soltanto il nettare bottinato al di sopra dei 1200 metri produce miele “di alta montagna”.
Per il millefiori le piante coinvolte sono davvero mille: rododendro, pisello selvatico, lupinella, trifoglio, lampone, timo serpillo … E’ un prodotto splendido e delicato, sempre diverso, da zona a zona e da un anno all’altro.
La melata di abete non si fa tutti gli anni. Il sapore è maltato, caramellato, aromatico, con note resinose di fumo.
Il miele di rododendro ha un nome evocativo e proviene da una pianta molto bella e conosciuta. Fresco e raffinato, è particolarmente raro e prodotto quasi esclusivamente nel nostro paese.
Nelle Valli Giudicarie e più precisamente nei Comuni di Bleggio Inferiore, Bleggio Superiore, Fiavè, Lomaso e Stenico, la coltura del noce vanta origini antiche; in tutto il Trentino la parola Bleggio è subito associata alla "noce", tanto è conosciuta e apprezzata la produzione delle noci che provengono da tale zona.
Oggi giorno la raccolta avviene man mano che le noci cadono spontaneamente con un conseguente allungamento dei tempi.
Alla raccolta, se le noci vengono raccolte sporche di terra, segue il lavaggio con acqua corrente; quindi si procede all'essiccazione, che a seconda dell'andamento climatico autunnale può essere più o meno agevole. Viene effettuata mettendo le noci su dei graticci che in genere vengono sistemati sulle soffitte delle vecchie case dove l'aria può circolare liberamente permettendo così l'essiccazione delle noci.
La noce è un alimento energetico perché ricco di olii ma anche dietetico grazie al notevole contenuto di proteine, sali minerali (calcio, potassio, fosforo e zinco) e vitamine (soprattutto A, C ed E).
La coltura dell’olivo nell’Alto Garda risale a tempi antichissimi e storicamente la sua presenza è documentata già a partire dal VII e VIII secolo.
La raccolta delle olive viene effettuata da novembre a gennaio tramite la brucatura, cioè mediante l’asportazione dei frutti dai rami con strumenti a forma di pettine. Le olive, fatte cadere su appositi teli per evitare che a contatto con la terra vadano incontro ad alterazioni che possono compromettere la qualità dell’olio, vengono molite entro pochi giorni dalla raccolta. L’estrazione dell’olio avviene sia in tradizionalmente, in frantoio dotato ancora delle macine, sia con l’utilizzo di moderni frangitori che permettono la lavorazione di grandi quantità di olive in tempi rapidi. In entrambi i casi il processo di estrazione avviene esclusivamente per spremitura a freddo, cioè senza l’ausilio di sostanze chimiche e consente l’ottenimento di solo olio extra vergine.
Per effetto del clima e della tecnica di lavorazione, l’olio del Garda è di eccellente qualità. Si riconosce per l’armonico gusto di fruttato, mai aspro, troppo denso o eccessivamente carico di colore.
Contiene importanti acidi grassi essenziali (linoleico, arachidonico), vitamine, quali quelle liposolubili come la A, la E, la K e altri fattori di accrescimento e di protezione dell’organismo.
L’olio di oliva è particolarmente indicato per il consumo da crudo, ma adatto anche a qualsiasi altro uso di cucina, crudo o cotto anche ad alte temperature, grazie alla sua composizione che lo rende particolarmente stabile e gli conferisce un elevato coefficiente di digeribilità.
Curiosità: el pan de Molche: Pane tipico della zona dell’Alto Garda, confezionato in diversi formati, è costituito dall’aggiunta delle molche all’impasto del pane.
Le molche (migole=briciole) sono il residuo della spremitura delle olive fatto con i vecchi frantoi ed i torchi meccanici mediante la scrematura della parte galleggiante dell’acqua di lavaggio, contenente perciò ancora l’olio. E’ un metodo per utilizzare tutto dell’oliva e del suo olio, infatti il risultato è un pane focaccia squisito che poco ha da spartire con il commerciale pane alle olive. Ogni famiglia aveva poi la sua variante con aggiunta di zucchero, vino o altri ingredienti.
È la qualità più diffusa in Trentino. Frutto medio - grosso, di forma oblunga o sferoidale. Buccia di medio spessore, tendente al giallo intenso a piena maturazione, con sfumature rosa negli ambienti più idonei di montagna , in particolare del Trentino e della Valle di Non. Polpa bianco – crema, compatta, croccante, succosa e piuttosto dolce. La Delicius prodotta in Trentino è di forma leggermente allungata, con pelle liscia e dorata e una faccetta rosa sulla parte che è cresciuta verso il sole. Ovviamente, essendo prodotti naturali, ci sono mele più verdi e altre meno, come ci sono mele più o meno allungate e mele con piccoli difetti di buccia - dovuti a piccoli funghi, grandinate o non ottimali condizioni di umidità - ma ciò non influisce sulla qualità interna di una mela, che può essere buona quanto una dall'aspetto impeccabile. In Trentino si raccoglie solitamente a metà settembre nelle zone di fondovalle e a fine settembre nelle zone collinari.
Mela di pezzatura grossa, con buccia verdastra o gialla, spesso con colore rosso nella parte esposta al sole. La polpa è bianco crema, mediamente succosa, abbastanza zuccherina, acidula, con elevate caratteristiche gustative. La Renetta, probabilmente originaria della Valle della Loira in Francia, è diffusa da oltre due secoli ed è conosciuta con diversi sinonimi: “Canada Pippin”, “Pomme de Caen”, “Haarlemer Reinette”, “Weisserrenette”, “German Green”, ecc. I primi veri impianti risalgono agli inizi di questo secolo ed erano localizzati nella zona di Quattro Ville, al centro della Valle di Non, area che ben presto, per le sue particolari condizioni, venne definita “ Il giardino della Valle di Non”. Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale la renetta divenne la varietà prevalente nella Valle di Non. Negli anni ’60, a seguito dell’arrivo delle varietà americane (Golden Delicius e Red Delicius), la Renetta Canada ha subito un rallentamento nella sua espansione.
IL CASOLET
Il formaggio Casolèt viene prodotto in Val di Sole da moltissimo tempo. In gergo veniva denominato anche come Casoleti, al plurale, o come Casolèt dell’Adamello. Il suo nome dialettale deriva dal latino Caseolus, che significa formaggino o piccolo formaggio.
IL FONTAL TRENTINO
Il termine Fontal è entrato in uso nel 1955 e deriva dalla contrazione dei due nomi Fontina ed Emmental. La produzione nella provincia di Trento è iniziata in Val di Non negli anni Sessanta poi diffusa su tutto il territorio Trentino.
Il Fontal Trentino, rispetto al Fontal della grande industria, presenta delle caratteristiche organolettiche particolari, legate soprattutto alla qualità e alla freschezza del latte di montagna utilizzato.
Descrizione
Formaggio a pasta cruda, a latte intero, tipicamente da pasto. Si presenta con una pasta compatta, morbida di colore bianco. Pronto per il consumo da pasto dopo 30 giorni.
Lavorazione
Per ottenere questo tipo di formaggio viene utilizzato il latte proveniente da bovine alimentate con erba al pascolo in malga o con fieno di prato stabile. Viene utilizzato latte intero riscaldato in caldaia alla temperatura di 31-33 °C con aggiunta di particolari batteri.
La cagliata viene porzionata e messa in stampi avvolta in tele e si effettua la pressatura. Dopo 4-5 ore le forme vengono messe in acqua fredda o in camera fredda. Il giorno seguente passano in salamoia per 3-4 giorni. La successiva stagionatura avviene in magazzino freddo e umido. Il formaggio è pronto al consumo dopo 30 giorni.
IL PUZZONE di MOENA
Questo formaggio nostrano veniva prodotto molti anni fa in Val di Fassa e in Val di Fiemme, nei caseifici turnari e nei masi. Un formaggio con un gusto e con un sapore accentuato che aveva molta resa sulla tavola della povera gente contadina di un tempo. Il trattamento delle forme con acqua tiepida, in certi casi addizionata con un po' di sale, creava uno strato superficiale praticamente impermeabile che favoriva all'interno delle fermentazioni, con formazione di odori e di aromi caratteristici di questo particolare formaggio. Il Puzzone di Moena o Spretz Tsaorì, che significa "formaggio saporito" nella lingua ladina, è sicuramente uno dei formaggi più apprezzati dagli intenditori e dai consumatori che ricercano prodotti sani, saporiti, con una forte personalità.
LA RICOTTA O POINA
In passato la poìna rappresentava un prodotto molto importante per la sopravvivenza della popolazione. Infatti negli antichi contratti d'affitto delle malghe una certa quantità di poìna doveva essere conferita al ricovero (ospizio per anziani ed ammalati). Per quanto riguarda la lavorazione vi sono diverse testimonianze, tra cui quella di Corrado Trotter che nel volume "Vita Primierotta nei suoi costumi, tradizioni, leggende" (1979) riporta: “C’erano due specie di poìna: quella di capra morbida e saporita e quella affumicata e stagionata che serviva da formaggio grana ancora sconosciuto.
LA SPRESSA
La Spressa è un formaggio prodotto esclusivamente nelle Giudicarie e in Val Rendena ed è uno dei più antichi formaggi della montagna alpina. Il nome deriva probabilmente da Stress, massa spremuta, poiché il latte con cui è prodotto questo formaggio subisce numerosi processi di scrematura. È il frutto di un'arte casearia "contadina" tramandata nel tempo, quando i contadini smagravano il più possibile il latte per ottenere un maggior quantitativo di burro, allora era ben remunerato. La Spressa era usata soprattutto per l'autoconsumo ed era commercializzata solo in piccole quantità. Anche oggi questo formaggio magro è a basso contenuto lipidico, nonostante sia sicuramente più ricco di un tempo.
IL VEZZENA
È un formaggio di vecchia tradizione per la squisitezza del suo sapore e per la possibilità di utilizzarlo sia da tavola che da grattugia. Prima della grande guerra in Trentino il Vezzena era pressoché l'unico formaggio da condimento. La produzione allora era modesta, ed anche il consumo da grattugia non era molto, perché la pastasciutta, pietanza tipica della cucina italiana, era poco presente nella lista di cibi della vecchia cucina trentina. Il Vezzena quindi era grattugiato sulle minestre, sui minestroni o sui canederli. Finita la guerra, l’annessione all'Italia cambiò anche le abitudini alimentari e in Trentino si impose sempre più la pasta. Il posto del Vezzena però venne preso dal grana, anche perché la produzione di questo formaggio si era momentaneamente fermata per il conflitto, che aveva distrutto gran parte dei pascoli e delle malghe.